Scilla (RC)

Secondo la mitologia greca, Scilla era una ninfa marina che per gelosia fu trasformata da Circe in un mostro mentre faceva il bagno in una caletta presso Zancle (l’odierna Messina); al posto delle gambe ebbe sei teste di cane che latravano, e lunghe code di serpente. La storia è raccontata nell’Odissea e nelle metamorfosi di Ovidio. Per chi però non s’accontentasse delle narrazioni mitologiche, ecco un’interessante ipotesi filologica delle origini sia dei nomi sia del mito di Scilla e Cariddi:

“Nell’antichità, a causa della tenuità e precarietà dell’informazione, spesso accadeva che voci e dicerie col passare dei secoli si accrescessero (fama crescit eundo, dicevano infatti i latini, o anche rumor multa fingit) fino a perdere il loro originario significato, talvolta addirittura trasfigurandosi in mitologia; quella della pericolosità della navigazione all’imboccatura settentrionale dello stretto di Messina, ossia in corrispondenza del passaggio tra la penisoletta di Scilla in Calabria e il capo siciliano di Cariddi, pericolosità considerata tale da arrivarsi addirittura a far derivare questi nomi da quelli di due mitologici spaventosi mostri divoratori di naviganti, in verità non corrisponde per nulla alla realtà delle cose, non essendoci infatti alcuna evidenza storica che ci confermi un particolare rischio nell’affrontare quel passaggio marittimo mediterraneo, il quale inoltre non fu nemmeno mai universalmente riconosciuto come rischioso quanto lo furono invece quello di Capo Horn, quello di Buona Speranza e quello di Agulhas, passaggi questi ancor oggi battuti da violenti venti e possenti correnti oceaniche. Da dove nasceva allora questa paurosa fama di Scilla e Cariddi? Probabilmente una certa pericolosità per le piccole e leggere imbarcazioni antiche doveva esserci, ma questo evidentemente prima che i frequenti e devastanti terremoti e maremoti succedutisi nel corso del tempo in quella sfortunata zona ne avessero sicuramente mutato la geografia sottomarina.

Il primo a parlarci di Scilla e Cariddi come di mitici mostri sanguinari fu Omero nella sua Odissea, poema a cui poi tanti antichi scrittori si rifecero data l’autorevolezza della fonte. Nacque pertanto più tardi il detto: ‘Incappa in Scilla volendo evitare Cariddi’ (Incidit in Scillam, cupiens evitare Charybdim) per significare ‘cadere dalla padella nella brace’; ma in realtà schille (σϰίλλαι) nome greco calabrese, e caridi (ϰαρίδες), nome greco siciliano, avevano lo stesso significato, trattandosi infatti di due dei tanti nomi che allora nel Mediterraneo si davano ai gamberetti; un altro per esempio era palinuri (παλίνουροι), ma questo si usava più a nord, cioè per indicare quei crostacei che si potevano trovare e pescare appunto a Capo Palinuro (per inciso, anche questo nome poi fu mitizzato). Molto probabilmente dunque ‘essere tra Scilla e Cariddi’ non significò in origine trovarsi tra due pericoli di pari gravità, come più tardi invece si fraintese, ma volle semplicemente dire ‘se non è zuppa è pan bagnato’, cioè ‘è inutile che tu te ne stia a riflettere se far sosta a Scilla o a Cariddi, tanto sempre gamberetti dovrai mangiare’. E dovevano essere anche crostacei molto buoni perché Il Suida narra che il famoso buongustaio romano Apicio, autore di un ricettario di cucina vissuto tra 1º secolo a.C. e 1º secolo d.C., era talmente ghiotto di gamberi, gamberetti e astachi che girava il Mediterraneo su una sua nave recandosi e fermandosi là dove c’era fama che si trovassero i migliori crostacei; e proprio per questo motivo fu costretto a soggiornare per qualche tempo a Minturno nel Lazio, perché ne aveva fatto proprio là scorpacciate tanto smodate da restarne ammalato. Suida, Lexicon, graece et latine. T.3, p. 266. Halle e Brunswick, 1705.”[6]

Secondo PalifatoPolibio e Strabone, il primo nucleo abitato di Scilla risalirebbe ai tempi della guerra di Troia. In questa remota epoca si è soliti riconoscere nella penisola italica ondate di migrazioni di popolazioni iberoliguri provenienti dal mare e dirette verso sud. Si ritiene[chi?] dunque che tali popolazioni potrebbero aver fondato qualche villaggio lungo i terrazzamenti più bassi del crinale aspromontano sud-occidentale, digradante verso lo Stretto. Trattandosi di popoli di pescatori, presumibilmente elessero come area d’insediamento il sito adiacente alla rupe centrale di Scilla, dove la presenza dei numerosissimi scogli agevolava la pratica della pesca, consentendo al tempo stesso la costruzione delle rudimentali capanne.

Il quartiere di pescatori di Chianalea con il Castello Ruffo
Il quartiere di pescatori di Chianalea con il Castello Ruffo di notte

Tale ipotesi è in parte avvalorata dallo stesso Omero allorquando, nel descrivere Crataia come madre di Scilla, lascia intendere l’esistenza di uno stretto legame tra questa e la nascita del mito del Monstruum Scylaeum, da intendersi sorto ancora alla prima frequentazione umana del tratto di mare antistante l’odierna cittadina. Dal momento che Crataia è da più parti identificata con il vicino torrente Favazzina, ancora ai tempi del Barrio chiamato fiume dei pesci[7], se ne potrebbe dedurre che gruppi di popoli dediti alla pesca, giunti via mare lungo la bassa costa tirrenica, inizialmente siano approdati alla foce di questo fiume, dove era agevole praticare l’attività, e successivamente si siano spostati più a sud, trasferendo la propria residenza presso la costa scillese, più ricca di pesci.